“Il sistema manifatturiero, formato in maggioranza da micro e piccole imprese, sta trainando la ripresa sia a livello locale che nazionale, sta aiutando il Paese a preservare quote significative di mercato e a piazzare l’Italia al secondo posto dell’economia manifatturiera europea, dopo la Germania. Ciò dimostra che le pmi rappresentano un patrimonio prezioso e serve un cambio di passo per tutelarle adeguatamente con politiche industriali pensate a loro misura”
Ad affermarlo è il Presidente di CNA Toscana Centro, Claudio Bettazzi, alla luce delle ultime indagini del Centro Studi CNA nazionale, che confermano questa capacità trainante delle pmi del prodotto interno lordo, e del report camerale sulla congiuntura a Prato e Pistoia.
Come sottolinea il Presidente Bettazzi infatti, “gli ultimi dati congiunturali della C.c.i.a.a di Pistoia e Prato per la prima metà del 2021 ci dicono che nelle nostre province l’industria manifatturiera sta recuperando le posizioni perse a causa della pandemia. Molti settori stanno rialzando la testa – come abbigliamento e maglieria, settore del mobile, meccanica, chimica e plastica – e le previsioni per l’occupazione nel manifatturiero del nostro territorio sono nettamente positive sia per Pistoia (+5) che per Prato (+3).
A livello nazionale del resto, dall’indagine CNA emerge come la presenza di micro e piccole aziende sia preponderante in tutti gli ambiti produttivi, soprattutto a vocazione artigiana. In Italia, su quasi 380mila imprese attive nel manifatturiero, il 92,3% sono micro (82% del totale) o piccole imprese (10,3% del totale), organizzate giuridicamente come aziende artigiane nel 63,8% dei casi. Ed è proprio grazie alle pmi e a questo tessuto produttivo così esteso, che il nostro Paese riesce a piazzarsi al secondo posto per fatturato manifatturiero dopo la Germania, con una struttura produttiva di pmi che è, di fatto, una una importante leva di traino per la competitività nazionale. Ma non è tutto.
Se guardiamo al rapporto tra pmi ed export nazionale, le piccole imprese della manifattura contribuiscono all’export complessivo del settore per una quota pari al 15,8% del totale, superando la soglia del 20% in molti ambiti: tessile (31,1%), abbigliamento (27,3%), alimentari (22,5%), fabbricazione di mobili (29,4%) e altre industrie manifatturiere (27,6%). I comparti nei quali è maggiormente radicata la presenza delle piccole e medie imprese, dunque, sono quelli che contribuiscono quasi per intero alla formazione dell’avanzo commerciale dell’intera manifattura, senza contare che per merito delle piccole e medie imprese il valore aggiunto creato dalle imprese italiane fino a 50 addetti (pari a 246,9 miliardi di euro), ha superato persino quello realizzato in Francia (241 miliardi) da imprese con la stessa dimensione occupazionale.
Infine – conclude Bettazzi – sempre parlando di occupazione, dallo studio CNA emerge che oltre il 55% delle microimprese è intenzionato ad assumere addetti nei prossimi sei mesi: quasi il 30% a tempo indeterminato, 27,7% a tempo determinato, il 20,2% con l’apprendistato, il 14,8% con il tirocinio formativo, mentre marginale è il ricorso a collaborazioni professionali e al lavoro occasionale (3,8%). La volontà delle imprese artigiane, micro e piccole, è quindi quella di ampliare gli organici anche in funzione delle nuove necessità richieste dal mercato nel dopo pandemia; una necessità che rischia però di essere frustrata dalle difficoltà, spesso insormontabili, nel trovare le figure professionali di cui hanno bisogno”.
Sotto questo aspetto, l’indagine conferma anche un dato inquietante: il nostro Paese non ha un sistema in grado di coniugare domanda e offerta di lavoro, tant’è che il 41,1% delle imprese cerca personale attraverso il “passaparola”, solo il 21,5% si rivolge alle agenzie interinali, il 16,6% del campione si indirizza a scuole e/o a istituti di formazione, l’11% si affida ai mezzi di comunicazione specializzati e appena il 3,8% ricorre ai centri per l’impiego.
E’ una lacuna di non poco conto – conclude Bettazzi –ed ecco perché l’annunciata riforma delle politiche attive del lavoro dovrà affrontare urgentemente la riorganizzazione delle strutture dedicate al collocamento e adattare i percorsi formativi alle esigenze del mondo produttivo: l’unico modo per consentire al Paese di agganciare i nuovi driver dello sviluppo che richiedono competenze adeguate”.