“E’ una vera e propria moria quella a cui stiamo assistendo. Siamo passati dagli 11.500 telai del 2001 ai 2.950 stimati oggi nel Distretto tessile”. Secondo Luca Santi, Presidente CNA Area Territoriale Piana Pistoiese, è da questi dati, presentati da una recente indagine della Camera di commercio di Prato, che bisogna partire per una discussione seria sulle prospettive del tessile.
“Mentre storicamente le ditte lavoravano di norma 18 ore, quindi quasi 2 turni e mezzo, oggi la percentuale più numerosa di esse ha un ciclo di utilizzo degli impianti di solo 12 ore e questo si accompagna ad una forte stagionalizzazione che ha squilibrato fortemente la capacità produttiva delle imprese. Se consideriamo anche il dato sui volumi produttivi, in calo di quasi il 50% dal 2001, si capisce bene quanto la crisi strutturale che ci ha colpito abbia modificato drammaticamente il Distretto”.
“Distretto che però non riesce a modificare alcune delle caratteristiche che in questi anni hanno rappresentato un punto di grande debolezza, prime fra tutti le dimensioni e la struttura aziendale – afferma Cinzia Chiti, Presidente CNA Federmoda di Pistoia. Oltre la metà delle imprese ha forma individuale, solo un decimo è società di capitali, 6 su 10 non hanno personale dipendente e ben l’84% non prevede di fare nuove assunzioni nei prossimi 5 anni.
Inoltre il 25% delle imprese è mono committente ed esiste ancora una grossa fetta di tessiture (40%) che non effettuano in proprio la fatturazione. In questo scenario le aspettative dei terzisti non possono che essere negative, con il 45% che pensa di cessare l’attività. Il 27% dei tessitori ritiene addirittura che il Distretto non avrà un futuro”.
“I dati mostrano però che le aziende più strutturate soffrono di meno – riprende Santi. Esse fanno registrare il 57% del fatturato totale, dispongono di macchinari relativamente più giovani ed hanno una redditività aziendale maggiore rispetto alle ditte di piccole dimensioni. E’ chiaro che per queste ultime risulta più difficile investire, assumere ed essere competitive ma dobbiamo uscire da questo circolo vizioso”.
Ma allora qual è la soluzione? “Il modello organizzativo del Distretto deve essere cambiato radicalmente e per farlo bisogna intervenire in due direzioni – dichiara Cinzia Chiti. Da un lato occorre agire su noi stessi, sulla nostra cultura imprenditoriale. Occorre cominciare a ragionare in termini di creazione di reti, formali o informali, che aiutino a crescere e ad ottimizzare i costi”.
“Serve un rapporto di maggiore collaborazione con la committenza con l’assunzione di impegni reciproci di lungo termine – puntualizza Luca Santi. E questo sarebbe più facile da ottenere se i terzisti che lavorano con lo stesso committente riuscissero a coordinarsi, aumentando così il proprio potere contrattuale.
Vi è poi l’altro aspetto, che attiene alle istituzioni, prima fra tutte la Regione, che deve mettere sul piatto bandi di finanziamento specifici per le piccole imprese terziste, senza privilegiare come è accaduto negli anni scorsi le grandi aziende, sperando in una ricaduta sull’indotto che non è mai avvenuta.
Ma anche i comuni e le camere di commercio devono attivarsi aiutando con tutti i mezzi a loro disposizione quelle imprese che dimostrano di crederci ancora e che continuano a rappresentare una risorsa per il nostro territorio.
Si potrebbe costruire ad esempio un sistema di incentivi alle imprese ancora collocate in zone residenziali e che decidano di spostarsi in zone artigianali o industriali. Questo rappresenterebbe un mezzo utile a migliorare il territorio e a rendere più competitiva l’impresa.
Non ci dimentichiamo – conclude il Presidente dell’Area della Piana – che questo settore produce ancora oltre 65 milioni di euro di fatturato e che è fatto di gente che non ha nessuna intenzione di arrendersi”.